Il Duende
Tra Flamenco e ricerca interiore
Antiche tradizioni popolari come il folclore iberico e la cultura polinesiana raccontano di uno spirito notturno che si aggira tra le case per creare scompiglio e spaventare i suoi abitanti. In spagnolo, è il dueño de casa.
L’origine della parola è doñeet che in lingua celtica significa “domestico”, per riferirsi a qualcosa di familiare che bazzica tra le mura domestiche. Alcuni dicono di averlo visto, descrivendolo come un agile omino di bassa statura, dotato di capacità magiche e profetiche con un carattere sfuggente e poco socievole. L’hanno chiamato duendecillo.
A partire dal XVIII secolo, la parola duende è entrata a far parte del gergo flamenco, forse grazie alle letras (strofe cantate) di qualche cantaora andalusa.
Il flamenco è l’emblema dello spirito popolare, nato dall’incontro tra il popolo gitano e quello spagnolo. Il loro scambio ha generato dei codici comunicativi difficili da spiegare a parole, ma esprimibili attraverso quell’arte suonata, cantata e danzata che è poi diventata patrimonio immateriale dell’umanità.
Per i gitani andalusi, il flamenco è duende. Si dice che “ha duende” un artista quando è autentico. Un poeta descrive il duende attraverso delle qualità: irrazionalità, terrosità, una maggiore consapevolezza della morte e un pizzico di diabolico. Nell’arte flamenca, il duende è uno spirito di terra che sale interiormente dalla pianta dei piedi e infiamma l’artista di passione autentica. È come se l’artista flamenco fosse impegnato nella ricerca di una vera misura, tra ribellione e rassegnazione, trasportato da un’inquietudine che lo spinge a rompere gli stati di equilibrio apparente. Una rottura che suscita inquietudine, brividi di estasi e di terrore. L’intero quadro flamenco ricerca un equilibro nella percezione degli opposti.
Il bailaor e la bailaora
Il bailaor e la bailaora pestano i piedi a terra per far suonare i tacones mentre tendono la schiena verso il cielo. Il toque improvvisa una variazione di chitarra, alimentando la creazione di nuove progressioni.
Il cante sale con la voce piena di grida per poi interrompersi di colpo, lacerando qualsiasi senso di melodia.
Nei momenti di massima comunicazione tra cante, baile e toque c’è duende, nel fiorire improvviso di un perfetto equilibrio. E c’è poi chi jalea di soddisfazione (Olé!), che accoglie la catarsi di chi sa trasformare l’inquietudine in godimento.
Nella ricerca interiore accade qualcosa di simile. Questo tipo di ricerca è ciò che più caratterizza l’essere umano sin dagli albori dell’umanità: la spinta a ricercare verità sempre più alte su stessi e sul mondo, in un processo incessante di interrogativi con risposte parziali e zone d’ombra che alimentano il desiderio stesso di conoscenza. Un ricercatore è chi si fa interprete dell’antica inquietudine, tanto nell’arte quanto nella scienza, nella spiritualità e nella vita.
Il duende ci ricorda che nella casa dell’ego non siamo padroni di noi stessi e che dietro alle pretese di controllo, c’è un folletto che crea scompiglio. Ci viene a svegliare quando stiamo dormendo, forse siamo gli unici a sentirlo, ma non possiamo fare a meno di ascoltarlo. Viene con le sue domande scomode e ci terrorizza perché ci obbliga a cercare le risposte. Ci porterà ad una nuova teoria scientifica, ad una folgorante intuizione sulla realtà, con la consapevolezza che nessuna certezza sarà definitiva e che nessun equilibrio sarà raggiunto per durare. Far pace con l’inquietudine è l’unica vera possibilità di equilibrio, senza che questa venga presa troppo sul serio. Così ogni baile flamenco anche il più struggente, termina por fiesta (finisce con una festa).