Ansia e libertà di espressione
Ogni volta che vivo uno stato di ansia, cerco di osservarlo. Quando uso certe parole per descrivere i miei stati emotivi, sono consapevole di pagare pegno a chi le ha inventate. Ci sottomettiamo alla parola di continuo, è un atto di fede. Si tratta di una sensazione che ad un certo punto della mia vita ho riconosciuto come “ansia”. Da quel momento, mi sono abituata a viverla come se fosse sempre uguale, quella delle 11 di stamattina a quella delle 20 di ieri sera, byapassando del tutto l’osservazione.
Eppure, per dirla alla Eraclito, antico filosofo greco, “non ci si può immergere due volte nello stesso fiume”. Quando mi apro alle emozioni, mi accorgo che lo stato emotivo è sempre diverso, contestualizzato e accade in un corpo che sta in un certo modo. Se uno stato emotivo si cronicizza e viene vissuto sempre “allo stesso modo”, c’è qualcosa di me che lo trattiene, identificandosi con quell’emozione e distaccandosi dal fluire della vita.
Quando questo accade può essere superfluo pensare di risolverla con la distrazione, il rilassamento o l’aiuto di altri, perché c’è qualcosa di molto soggettivo che sta premendo per essere ascoltato. Dopo di che le emozioni sono di per sé transitorie, perciò sta a me capire quando un’emozione si ripete perché esprime qualcosa di più profondo oppure per abitudine meccanica. In tal caso posso allenarmi alla distrazione e al rilassamento. Da un certo punto di vista, trattenere uno stato emotivo è rassicurante perché dà la sensazione di controllo sulla propria vita. Ho sperimentato che questo tipo di controllo è un’illusione: l’unico controllo che può essere acquisito viene dalla totale apertura alle emozioni che si imparano a vivere e a comprendere.
Comprendere l'anisa
Comprendere non è capire con la mente. Ho googlato “ansia”, sono andata sui libri e ho guardato dei video su Youtube per avere più informazioni sull’etichetta “ansia”, ma la conoscenza che ne ho tratto non è bastata per comprenderla.
Comprendere non è subito condividere. Per conoscere il funzionamento della mente, è necessario prima di tutto entrare in confidenza con la propria, così si potrà comunicare con gli altri. Il processo è individuale e diverso per ciascuno, perché fondamentalmente siamo soli in questo corpo e in questa mente. Non deve spaventare se il percorso non è subito condivisibile, perché ogni volta che incontriamo noi stessi, sviluppiamo una maggiore capacità di condivisione e vicinanza agli altri.
Provare L'ansia
Ora, io provo ansia. C’è qualcosa che non va. Penso a tutte le cose che devo fare e comincio a tremare, ho freddo e ho le vampate di calore. Mi dico che dovrei fare questo o quell’altro. Come la affronto?
So che l’ansia è uno stato di malessere generalizzato, caratterizzato da un’intensità emotiva superiore alla paura - contestuale e legata ad un oggetto - e inferiore all’angoscia - traumatica e senza sbocco. L’ansia vive nella mente e quindi nel tempo: è la preoccupazione di ciò che accadrà, di un futuro travestito di immagini e pensieri negativi vissuto dal corpo visceralmente come tormento e somatizzazione. Il circuito si autoalimenta. Può partire da un pensiero accelerato che poi innesca immagini e subbuglio corporeo; oppure da un disagio fisico a livello intestinale, gastrico o respiratorio che fomenta agitazione mentale ed emotiva.
Io posso sapere o non sapere, in ogni caso il pensiero è troppo lento per intervenire su un’emozione nel momento in cui si manifesta, perciò stati emotivi ad alta intensità possono essere solo vissuti con coraggio. Spesso sono la schiuma emotiva di conflitti pregressi che abbiamo generato con noi stessi per un tempo più o meno prolungato, perciò quando superiamo una certa soglia di tolleranza, la nostra mente vomita tutto ciò di cui l’abbiamo riempita. L’ansia è proprio una specie di vomito mentale.
Le Strategie
Ogni strategia di fronteggiamento dell’ansia è già di per sé uno scacco matto a sé stessi, perché quando cerco di gestire le emozioni, quasi sempre sto preparando il terreno per la loro permanenza - un tentativo last-minute disperato di evaderla. Il management delle emozioni è un’idea alla moda che ci fa credere di poter controllare le emozioni, ma la gestione delle emozioni è il risultato di una condizione emotiva stabile e consapevole, non di un pronto intervento.
Non si può combattere contro un nemico che non ha vita propria, come non si può tirare i pugni contro un’ombra, ma soprattutto non ha senso combattere contro sé stessi. Anche quando si parla di disidentificazione in termini orientali, occorre prestare attenzione al processo che si innesca in un occidentale abituato a riconoscersi nella sua mente. Ripetere slogan orientali del tipo “io non sono il corpo, la mente e i pensieri” continuando a separare ed analizzare da occidentali, rischia di creare scissione tra i contenuti psichici ulteriore conflitto. L’ansia siamo noi nel momento che accade. Ci siamo abituati ad evitare il nostro mondo interiore come la peste, come se un’emozione fosse un incidente di percorso.
Teniamo distanti le emozioni negative additandole come il Male, addirittura alcuni credono che esista una sorta di Sabotatore interiore che ostacoli la loro vita (per un periodo l’ho creduto anche io). Tutto questo non fa che generare un altro conflitto con noi stessi. Per dirla junghianamente, integrare l’archetipo Ombra non significa attribuirgli vita propria.
Conclusione
L’unica soluzione è essere presenti a sé stessi e consapevoli durante il giorno, per capire tutte le volte che non ci siamo, che ci castriamo, che non ascoltiamo un desiderio, che comunichiamo qualcosa di diverso da ciò che vorremmo, che siamo scontenti, che siamo privi di vita. Lì sta l’origine dell’ansia. Il farmaco si chiama libertà di espressione. All’inizio si possono scoprire tante cose che non piacciono della propria vita, anche se quasi sempre sono proiezioni del nostro modo di vivere. Ad esempio, ci lamentiamo del lavoro perché pensiamo che quello sia il problema: con uno sguardo attento, potremmo renderci conto che il problema non è il lavoro, ma la nostra incapacità di esprimere noi stessi a lavoro rimanendo meccanici e distaccati.
Fare piazza pulita della propria vita e trasferirsi in un’isola caraibica non è criticabile da un punto di vista morale, è semplicemente inutile se lo scopo reale è quello di stare meglio con noi stessi: riproponiamo le stesse dinamiche in altro posto, pensando di trovare la pace al di fuori di noi. Infatti, la cosa bella di un processo di consapevolezza è che non occorre apportare alcun cambiamento esteriore o progettare un’altra vita, almeno finché non siamo sicuri di volerlo. L’osservazione è un allenamento allo sguardo interiore: scendere dal livello superficiale di un mare mosso al fondale. Il mare, come lo stato emotivo, non è sempre calmo.
Ma quando non siamo consapevoli, possiamo solo aspettare che il mare da mosso ritorni calmo.
Quando siamo consapevoli, che il mare sia mosso o calmo non fa differenza, perché la nostra coscienza si è depositata sul fondale. Nella profondità di noi stessi nulla ci può mettere ansia, anche se la stiamo vivendo.