Giulia Ruffino Psicologia Interiore. Dettaglio immagine di acqua tumultuosa in fondo ad una cascata per l'articolo Depressione

DEPRESSIONE

“Trovare l’alba nel tramonto”

Mi sono chiesta come poter descrivere la depressione in modo semplice e non superficiale. Esistono diverse definizioni cliniche che vi consiglio di conoscere ed approfondire. Come di consueto, utilizzerò questo spazio per raccontarla in forma libera e volutamente ascientifica. Penso che un approccio non escluda l’altro, anzi si compenetrano, è mia intenzione parlare della depressione come esperienza interiore. Ritengo autorevole il pensiero di chi l’abbia sperimentata almeno una volta nella vita; perciò, siamo in tanti a poterci esprimere, non solo gli esperti.
“Stai male per un conflitto inconscio, per un’esperienza traumatica, è una trappola mentale.

Hai subito il condizionamento operante di schemi adattivi disfunzionali che hai appreso nel passato e ripeti nel tempo. Hai sviluppato un attaccamento insicuro a causa dei tuoi genitori. Non stai valorizzando le tue potenzialità innate, ti stai allontanando dal tuo carattere. Ti trovi in un cattivo contesto e ti mancano delle buone relazioni. Devi apprendere gli strumenti per gestire le tue emozioni”.
Le teorie hanno la tendenza a frapporsi come occhiali tra noi e la realtà. Consideriamo la mente di uno psicoterapeuta che ha elevato una cornice teorica a metodo: quante convinzioni accadono nella sua mente prima dell’aperto invito al dialogo con un paziente: “Prego, mi racconti la sua storia…"?

All’età di 16 anni, quando mi sono ritrovata nelle vesti di paziente per problemi d’ansia e attacchi di panico nello studio di una psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, mi sono chiesta che senso avesse completare quelle tabelle in cui descrivevo la sequenza temporale dei miei pensieri, emozioni, e comportamenti, associata all’intensità del sentimento da 0 a 100. Stessa perplessità nei confronti dei test che mi aveva sottoposto per comprendere i miei schemi mentali. Il test è uno strumento clinico complementare al colloquio, utilizzato da alcuni psicologi per conoscere gli stati mentali del paziente sulla base di parametri più oggettivi. La psicologa mi ascoltava teneramente e senza giudizio, infatti la ricordo con piacere.

Ma ricordo anche il senso di incomprensione di fondo che mi lasciava ogni incontro, una sorta di conflitto interiore. Mentre soffrivo per il mio stato psicologico, una parte di me voleva più di una “terapia”. Non tolleravo le tecniche e i compiti a casa, quel trattare me stessa come un problema da risolvere: desideravo comprendermi dall’interno. Ero convinta che la storia che le avrei raccontato, la storia della mia vita, si sarebbe colorata di preconcetti teorici e categorizzazioni diagnostiche sino a perdere le sue autentiche sfumature, caricata di spiegazioni razionali vere solo in parte. Frequentando altri psicologi, ne ho raccolte delle altre. Come quando vai dai medici e ognuno ti dà un parere diverso.

Quello è stato l’inizio di una ricerca psicologica che mi ha condotto a interpretazioni differenti del mio stato d’animo e del mio vissuto. È curioso come una decina di anni dopo, alle prese con l’esame universitario di psicologia clinica, in una condizione emotiva più equilibrata e ricettiva - che non associo alla terapia - io abbia rivalutato totalmente il cognitivismo, tanto da pensare di specializzarmi in quell’approccio. Eppure, non posso dimenticare il sentimento di quella ragazza estranea alla psicologia e ai costrutti dell’essere umano adulto che “funzionano” nella testa, a scapito di una richiesta di comprensione dall’interno. Perché quello che desideravo era comprendere senza interpretare, sentire senza soffrire, affrontare le mie reazioni emotive.

La depressione e abbassamento costante del tono dell’umore

Depressione deriva dal latino deprimĕre e indica “l’atto di portare a un livello più basso” che, in ambito psichico, si traduce in un abbassamento costante del tono dell’umore, aldilà delle situazioni contingenti. Ed è per questo che l’aiuto dell’altro è frustrato, soprattutto quando si pone nei nostri confronti con una qualità positiva ed energica. Le persone che hanno sperimentato uno stato depressivo sanno quanto sia sgradevole avere amici e familiari che ti dicono “tirati su il morale”.

Questo può alimentare il senso di impotenza e l’inadeguatezza di non poter condividere lo stesso canale comunicativo. La depressione è la cronicizzazione di una tristezza non compresa; una condizione emotiva che possiamo aver sperimentato direttamente nella nostra vita per un periodo più o meno prolungato, oppure che possiamo intuire dai racconti delle storie di vita altrui. Si tratta di uno stato emotivo socialmente rifiutato, in un’epoca come la nostra che sempre di più ci chiede di apparire estroversi, vincenti e sul pezzo. Forse abbiamo provato indifferenza verso i nostri successi, solo perché in quel momento stavamo male.

Forse ci siamo sentiti vittime delle nostre scelte, di scelte di altri, intrappolati nelle contromisure che adottiamo ogni volta per stare meglio, altrettanto inadeguate, per poi giungere alla conclusione “sono io il problema, io che non riesco a far funzionare la mia vita”. In questo stato, le esperienze socialmente significative sembrano impregnate di inutilità. Alzarsi la mattina è inutile, l’idea di vivere lo è. Quello che rimane è una serie di gesti ripetitivi che vengono protratti nel tempo, bloccati in un presente sempre uguale a sé stesso, cupo e privo di novità.

Quando la situazione diventa insostenibile chiediamo aiuto. Possiamo decidere di iniziare una psicoterapia, ricordando che una buona psicoterapia attiva meccanismi di autoriparazione. Oppure, se non abbiamo le risorse economiche o la buona volontà, facciamo da noi e cerchiamo una soluzione. Come disse il mio professore di psicologia clinica “se stai ancora male significa che hai già provato con i tuoi strumenti e non ci sei riuscito”. Allora la soluzione è rivolgersi a qualcuno di esterno? Anche. Tenendo a mente che là fuori troverai le teorie, i metodi, le diagnosi e le tecniche, ciò che sarà determinante sarai tu: sceglierai una persona d’aiuto, ti riconoscerai in una teoria, apprezzerai un metodo e vorrai mettere in pratica una tecnica.

Se non funziona, non temere, non è detto che il tuo caso sia più complesso degli altri, forse hai bisogno di farti qualche domanda. Il fatto è che il disagio è multidimensionale, rifiuta cerotti e cambia forma, è come un simbolo interno che racchiude in sé una sfera di significati. Una diagnosi, parola che sta per “conoscere attraverso”, ha un valore differente per ogni psicologo. Di fatto è una fotografia statica di una forma momentanea e transitoria che non siamo noi. La nostra natura non è definibile con una forma che è già cambiata nel momento in cui la si definisce.

Forse ti domandi perché non riesci a stare meglio, ad apprezzare il tuo valore, a sentirti in potere di cambiare le cose, a provare entusiasmo per i tuoi successi, oppure non capisci perché continui a disattendere le aspettative tue o di qualcun altro che ti vuole in un certo modo. Insomma, non esiste una definizione oggettiva della depressione, così come non esiste un senso di vita oggettivo.
Perché a te manca senso. La domanda che risuona in uno stato depressivo è: che senso ha la vita? Probabilmente nessuno. Non è qualcosa che si può trovare oggettivamente all’esterno di noi come una spiegazione scientifica. Esiste solo un senso soggettivo, nessuno imposto dall’esterno. Questo può far sentire estremamente liberi o terribilmente angosciati. La depressione riguarda un senso che non si riconosce come proprio, il rifiuto verso la comune accezione di senso che è attribuito dagli altri. Ciò rende il futuro insostenibile e opprimente. Forse la mancanza di autostima, l’autosvalutazione e il sentimento di impotenza sono fotografie di pattern cognitivi e comportamentali che derivano dall’interno, da qualcosa che non può essere etichettato, categorizzato o vissuto come spiegazione oggettiva dentro il nostro cuore.

"Pensieri Suicidari"

C’è chi rabbrividisce di fronte all’espressione “pensieri suicidari”, non solo perché sentiamo che il suicidio sia un atto contro la vita, ma anche perché, per senso comune di retaggio moralistico, siamo abituati all’idea che “la vita è un dono” ed è blasfemo chiunque osi immaginare di togliersela. Eppure, è così, abbiamo il potere di toglierci la vita. Tuttavia, la sofferenza esiste e può condurci alla morte. Eppure, la morte fa parte della vita.

Può essere che pensiamo di averlo capito ma non l’abbiamo mai realizzato? Forse non è la morte che desideriamo, ma la fuga dalla sofferenza. Azzerare il sentire, lasciare corpo, emozioni e pensieri. Ma come cambierebbe la nostra vita se sentissimo internamente che la morte non può liberarci dalla sofferenza? Forse non esiste quel paradiso che ci hanno raccontato, quel locus amoenus in cui rifugiarci dove tutto è perfetto e privo di turbamento. Se fosse nostro il potere di realizzarlo? Di nuovo, si possono sperimentare libertà e angoscia allo stesso tempo.

La paura che il nostro pensiero si concretizzi... Il pensiero è capace di creare dei mondi utopici e distopici, ma possiamo smettere di viverci come se fossero reali. Scoprire di avere il timone in mano è la questione, anche se ancora non si conosce la rotta da intraprendere. Sentirsi in responsabilità, ma non in colpa.
La vita non ha un senso oggettivo ed è probabile che nemmeno la tua sofferenza ce l’abbia. Nell’universo tutto si muove in un flusso dinamico ed impermanente, possibile che la tua sofferenza sia statica e duratura? Di chi è la volontà di trattenerla? Per me la cura è definibile come una ricerca di maggiore comprensione, nella direzione più sentita da ciascuno. Comprendere non significa spiegare razionalmente, ma sentire, conoscere e coltivare la consapevolezza di una visione più ampia per riuscire a guardarsi dall’esterno.
Se mettiamo sul fuoco una pentola piena d’acqua e poi usciamo dalla stanza dimenticandocene, l’acqua fuoriuscirà scoperchiando la pentola. Lo farà perché il fuoco è acceso, anche se ci siamo allontanati e non lo vediamo direttamente. La comprensione non sta nel mettere il coperchio, ma nell’osservare attentamente il fuoco. Dirigere la propria attenzione sul fuoco, chiederci perché si è acceso e riuscire a restare nella stanza in attesa ricettiva.

La mancanza di senso è collegata neurofisiologicamente all’iper-attivazione dell’emisfero sinistro che, sulla base dei dati fino a quel momento acquisiti, cerca di dare una cornice a quello che ci sta accadendo, ma senza trovare riscontro nel sentire. Le spiegazioni razionali che ci diamo vengono dai dati dell’emisfero sinistro che abbiamo assimilato dall’esterno. Una buona fetta di sofferenza è legata al fatto che si cerca di spiegare la situazione secondo cause esterne. Chi sei? Sei quello euforico, sul pezzo, entusiasta che vuole spaccare il mondo e si fa mille progetti che poi non concretizza? O sei quello triste, cupo, desolato, vuoto? Forse sei tutti e due, o forse nessuno dei due. Forse non ha importanza.

Conclusione

La felice conclusione di questo articolo non può ridursi ad una rassicurazione. Perché le più grandi rassicurazioni si trovano nella vita, quando si osserva come tutto cambi inaspettatamente. Puoi rispettare la tua depressione proprio perché mille parole non la comprendono, ricordando che ne basta una per accendere quell’intuizione che scombina tutte le carte in tavola. Se ti accorgessi di essere una coscienza che osserva silenziosa, oltre il morale che sale e scende come un’altalena emotiva? Se potessi andare oltre le emozioni e restare in quella stanza con il fuoco acceso, immerso nel vuoto e nel silenzio che provi ora, senza nulla da fare o capire? Accettare il declino, la perdita, aspettare di “trovare l’alba nel tramonto”. Il tuo tramonto.

Essere consapevoli che una grande sofferenza può condurti alla disperazione, oppure alla ricerca di uno nuovo stato di coscienza. Forse quando ti stancherai di trattenere tanta sofferenza, la depressione potrà avvicinarti ad una condizione nuova in cui tutto ciò che proverai non sarà più invitato né a rimanere né ad andarsene, perché in fondo tutto passa e va.
Perciò tu resta, perché qualcosa accadrà.

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